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IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE

Il quadro giuridico di regolamentazione delle acque in Italia è molto complesso, poiché si correla con l'evoluzione economica, politica e sociale del nostro paese.

La legislazione in materia di utilizzo delle acque e del ruolo e potere dello Stato in tale disciplina trova il suo avvio nell'anno 1865. In tale anno viene emanato il nuovo Codice Civile che dedica alle acque alcune importanti norme di principio.

La normativa , dal punto di vista cronologico, può essere raggruppata in tre periodi fondamentali:

  • anteriore alla nascita delle Regioni;
  • successiva al 1970 , che tiene conto della attribuzioni legislative e amministrative dei nuovi Enti territoriali.
  • successiva alla legge Galli

Fin dal 1865 prese origine una questione abbastanza rilevante, non solo in termini giuridici ma anche sotto il profilo socio-economico, relativa alla dichiarazione di acque pubbliche e private.

Tale fattore ha condizionato la successiva normativa ed è stato superato con la dichiarazione contenuta nell'art. 1 della legge 36/94 "…………..tutte le acque sono di uso pubblico".

La classificazione delle opere idrauliche viene prevista dal R.D. 523/904 " Testo Unico sulle opere idrauliche", che sancisce l'affidamento della tutela delle acque pubbliche e l'ispezione sui relativi lavori al Governo.

Le opere intorno alle acque pubbliche sono distinte in 5 categorie. Il Ministro del LL.PP. fa eseguire le opere delle prime tre categorie, per le altre è riservata all'autorità governativa l'approvazione

dei progetti e l'alta sorveglianza sulla loro esecuzione.

Sono istituiti i Consorzi(tra Stato, Province,Comuni, per i loro beni patrimoniali e privati) per redigere i progetti e le opere delle due ultime categorie.

Un importante pilastro si realizza con l'emanazione del Testo Unico sulle acque ed impianti elettrici n.1775 dell' 11/12/1933 con il quale si tenta di individuare il sistema tecnico-politico-amministrativo di settore; tale Testo è rimasto l'unico e serio tentativo di adeguata legislazione ed amministrazione delle acque nel nostro paese fino all'emanazione della legge 183/89 e della legge 36/94.

Il Testo Unico del 1933 si proponeva come una sorta di statuto per la gestione delle acque e del diritto idraulico; tra i punti salienti rappresentati da tale normativa emerge per la prima volta l'esigenza di comprendere tra le acque pubbliche anche quelle sotterranee sulla base del criterio generale dell'essere idonee a soddisfare un uso di pubblico generale interesse.

Tale criterio costituisce la testimonianza che l'acqua comincia ad identificarsi come una risorsa limitata.

Nonostante i grandi passi compiuti con l'emanazione del T.U. rimasero irrisolti alcuni aspetti fondamentali relativi alla difesa, tutela e gestione della risorsa idrica, quale il discorso sul bacino idrografico come area funzionale dalla quale partire per impostare la gestione e l'uso delle acque; altro aspetto tralasciato fu il degrado ed inquinamento delle acque.

La cultura della pianificazione della risorsa acqua trova terreno fertile e maggiore consapevolezza con la "Conferenza Nazionale delle acque 1968-71" con la quale vengono affrontati nel loro complesso i problemi connessi agli aspetti fisici, economico/sociali, organizzativi e funzionali.

Un punto importante toccato fu quello relativo "agli organi della pianificazione e la loro competenza in rapporto ai procedimenti di formazione, approvazione ed esecuzione del piano generale delle acque".

A questo punto bisogna ricordare che negli anni '70 la regolamentazione sulla risorsa acqua viene condizionata da fattori politico-istituzionali quali:

  • l'istituzione delle Regioni e quindi le deleghe assegnate sull'assetto delle risorse fisiche
  • il manifestarsi e soprattutto una maggiore sensibilità verso i problemi ambientali.

Con il DPR 616/77 vengono infatti trasferiti dallo Stato alle Regioni competenze sulle acque e sul suolo, tra cui si ricordano quelle relative a:

  • vincoli idrogeologici;
  • acque minerali e termali;
  • aree del demanio lacuale e fluviale;
  • acquedotti, risorse idriche superficiali e sotterranee, politiche delle acque;
  • piccole derivazioni di acque pubbliche, usi multipli delle acque;
  • acque pubbliche, catasti e utenze;
  • tutela delle acque dall'inquinamento:
  • opere idrauliche, bacini idrografici;
  • consorzi di bonifica ;

Con la legge 319/76, nota come legge Merli, si focalizza poi l'attenzione sul problema della tutela delle acque, in particolare:

- la disciplina degli scarichi di tutte le acque pubbliche e private, sia superficiali che sotterranee, sia interne che marine;

  • la formulazione dei criteri generali per l'utilizzazione delle acque in materia di insediamenti;
  • l'organizzazione dei pubblici servizi di acquedotto, fognature e depurazione;
  • la redazione di un piano generale di risanamento delle acque di competenza delle regioni

Nel '79 è stata emanata la legge 650, recante integrazioni e modifiche alla 319/76.

Il successivo susseguirsi di normative e di dibattiti parlamentari e conferenze hanno fatto maturare una presa di coscienza sulla necessità della gestione delle acque, considerato il bene economico che essa rappresenta, di un piano delle acque e sull'interrelazione bacino idrografico e gestione del piano delle acque.

Tutto ciò ha portato all'emanazione della legge 183/89 e alla 36/94.

Con la legge 36/94 recante disposizioni in materia di risorse idriche si supera la "cultura dell'emergenza" e si persegue la corretta e razionale pianificazione delle risorse idriche.

La legge 36/94, nota come legge Galli, si pone come strumento di attuazione di quanto dettato dalla L. 183/89. La logica ispiratrice della legge Galli è la convinzione che l' acqua è un bene comune che va salvaguardato ed utilizzato secondo criteri di solidarietà, tenendo presente le "aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale".

Partendo da questi principi si pone come fine quello della riorganizzazione del servizio che si esplica attraverso:

  • la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali
  • l'organizzazione del servizio idrico integrato
  • la tariffazione
  • l'aggiornamento del PRGA
  • l'attuazione delle direttive 91/271/CEE

All'Autorità di bacino compete tra l'altro "l'aggiornamento periodico del bilancio idrico diretto ad assicurare l'equilibrio tra le disponibilità di risorse reperibili i fabbisogni per i diversi usi".

Alle Regioni compete la definizione degli ambiti ottimali cioè dei bacini di utenze minimi, la gestione del ciclo integrale con distribuzione, depurazione e fognatura, la tariffazione di concerto anche con l'Autorità di Bacino.

Tale provvedimento legislativo incide profondamente sul piano istituzionale in quanto:

  • si propone come legge di riforma e, sotto il profilo dei rapporti fra Stato, regioni ed Enti locali, si rivela quale normativa di principi fondamentali
  • sotto il profilo dell'equilibrio dei poteri (centrale,regionale e locale) lascia al governo centrale attività normative, di coordinamento ed eventualmente attività sostitutive di intesa regionale e demanda le scelte operative alle determinazioni delle Regioni da un lato e dei Comuni e delle Province dall'altro .

La riforma Galli ha consentito al sistema legislativo italiano di raggiungere livelli in gran parte equiparabili a quelli dei più avanzati paesi della Comunità Europea ma ciò, purtroppo, non significa che la questione idrica sia stata risolta.

Si è arrivati così oggi alla nuova legge-quadro sull'inquinamento idrico che è il Dlgs 11 maggio 1999. Il nuovo Testo Unico sulle acque dovrebbe, da un lato recepire le normative comunitarie sulla tutela delle acque dai nitrati(91/676/CEE) e sul trattamento delle acque reflue urbane(91/271/CEE), dall'altro attualizzare l'intera normativa in materia di risorse idriche.

Gli elementi fondamentali della legge sono tre: una nuova impostazione della politica di risanamento e tutela basata sul concetto di obiettivi di qualità del corpo idrico recettore; una maggiore attenzione ad un più razionale uso dell'acqua e in generale alla protezione quantitativa della risorsa; una maggiore difesa delle acque sotterranee.

I principi generali della legge sono contenuti nei primi due articoli.

Dal punto di vista della tutela quantitativa sono previsti diversi mezzi di risparmio idrico, quali la pianificazione del bilancio idrico del bacino idrografico, il riutilizzo di acque usate e il risparmio delle risorse.

A questi scopi è prevista una revisione delle derivazioni d'acqua grandi e piccole, prevedendo la revoca di quelle concessioni che, riducendo la portata, pregiudicano la qualità delle acque e dell'ecosistema acquatico.

In questo senso vanno alcune modifiche al Regio decreto 1775 del 1933 , che regolano ancora in maniera sostanziale l'utilizzo delle risorse idriche nel nostro paese. Queste sono indirizzate a limitare o disincentivare la possibilità di derivare o utilizzare acque pubbliche mediante:

  • la moltiplicazione dei canoni per utenze che prelevano acque potabili per usi non potabili
  • limitazioni di concessione ai casi in cui sia impossibile utilizzare acque reflue
  • collegamento della concessione di acque per uso agricolo al controllo delle modalità di irrigazione
  • subordinazione della commercializzazione di acque minerali al parere dell'Autorità di bacino che verifica se questa non pregiudichi la disponibilità per uso idropotabile da parte dei servizi pubblici di acquedotto.

In relazione alla tutela qualitativa, la legge, oltre a recepire la direttiva 271/91 della Comunità europea sul trattamento degli scarichi delle acque reflue urbane, integrandola con quella sugli scarichi degli insediamenti produttivi, tocca alcuni argomenti che la legge Merli toccava solo parzialmente, demandandone alle regioni piena normazione, in particolare riguardo agli scarichi sul suolo e nel sottosuolo, e, vista l'importanza che tale recapito comporta per la qualità delle acque sotterranee, di norma, lo vieta.

Con il nuovo testo Unico si vuole superare il concetto di mera protezione delle acque dagli scarichi inquinati, presente nelle legge Merli, per una protezione complessiva della risorsa idrica vista nel suo ciclo complessivo.

Viene infatti introdotto il concetto di "obiettivi di qualità del corpo idrico recettore", avendo dei precisi traguardi di riduzione dei carichi inquinanti in relazione alle esigenze specifiche di ogni corpo idrico.

Questi sono in particolare: l'obiettivo di qualità ambientale, prioritario, per tutti i corpi idrici considerati significativi a livello nazionale, e, che tiene conto non solo delle acque ma dell'intero ecosistema acquatico e definisce lo stato dei corpi idrici in funzione della loro capacità di mantenere comunità animali e vegetali diversificate, tendendo a corpi idrici vicini quanto più possibile alle loro condizioni naturali, in cui il sistema mantiene intatte le sue capacità di risposta e autodifesa dalle alterazioni di origine antropica grazie ai processi naturali di autodepurazione; l'obiettivo di qualità funzionale che, rispondendo a precise norme comunitarie, è relativo ai corsi d'acqua che regioni o enti locali individuano per un uso particolare o una funzione specifica (balneazione, produzione acqua potabile).

Il nuovo decreto interessa un po’ tutti, dalle regioni alle imprese: l'adeguamento al nuovo regime avverrà gradualmente entro i termini stabiliti dal provvedimento stesso.

Un ruolo fondamentale spetta alle Regioni che dovranno, tra l'altro, procedere al rilevamento dei dati necessari per individuare le caratteristiche dei bacini idrografici.

Numerosi sono i provvedimenti normativi abrogati dal nuovo decreto, fra i quali:

  • la Legge 10 maggio 1976 n. 319 in materia di scarichi (cosiddetta "Legge Merli");
  • il Dlgs. 25 gennaio 1992, n. 130 in materia di qualità delle acque dolci per l'idoneità della vita dei pesci;
  • il Dlgs. 25 gennaio 1992, n.132 in materia di protezione delle acque sotterranee;
  • il Dlgs. 1992, n.133, in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque.
  • Altre leggi saranno soltanto modificate dal nuovo decreto.

Evidenziamo ora, dal nostro excursus, quelle che possiamo definire leggi-quadro:

  1. LEGGE 10 maggio 1976, n. 319

Dallo stesso autore è stata definita una legge di "polizia" delle acque, cioè atta a fronteggiare il dilagare delle occasioni di inquinamento delle stesse, attraverso un insieme di limiti e di controlli applicabili a tutti gli scarichi di acque reflue nei corpi idrici.

Poiché tuttavia detta legge non dispone di finanziamenti propri (eliminati in sede di discussione parlamentare, in ragione delle competenza regionali) essa può essere definita una legge-quadro, che rinvia l'attuazione delle opere pubbliche necessarie agli Enti locali, cui spetta l'onere di provvedere ai finanziamenti, o ad interventi dello stato, sulla base dei programmi triennali per l'ambiente o di altre provvidenze.

La legge è stata attuata solo parzialmente a causa degli ingenti oneri, diretti ed indiretti, connessi alla costruzione degli impianti di fognatura e depurazione ed al loro esercizio.

Essa comunque ha avuto efficace azione correttiva, evitando il perpetuarsi di azioni incontrollate di estremo danno. Tale efficacia è derivata quasi esclusivamente dalle norme penali in essa previste.

Bisogna tuttavia segnalare l'art. 8, come modificato dalla legge 24 dicembre 1979, n.650: le Regioni avrebbero dovuto predisporre un piano di risanamento nel quale indicare, tra l'altro, lo stato di fatto delle opere attinenti ai servizi di pubblico acquedotto, fognatura e depurazione e gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei suddetti servizi, anticipando alcuni contenuti della legge Galli (n. 36/94).

La legge è stata successivamente precisata con un'importante normativa tecnica emessa dal Comitato di Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento, che, in particolare, con delibera 4/02/1977 ha disciplinato:

- criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici per la formazione del catasto degli scarichi;

  • criteri generali per il corretto e razionale uso dell'acqua;
  • norme tecniche generali per la regolamentazione dell'installazione e dell'esercizio degli impianti di acquedotto;
  • norme tecniche generali per la regolamentazione dell'installazione e dell'esercizio degli impianti di fognatura e depurazione;
  • norme tecniche generali per la regolamentazione dello smaltimento dei liquami sul suolo e nel sottosuolo; per la regolamentazione dello smaltimento dei fanghi residuati dai cicli di lavorazione e dai processi di depurazione; sulla natura e consistenza degli impianti di smaltimento sul suolo o in sottosuolo di insediamenti civili di consistenza inferiore a 50 vani o a 5.000 mc.

 

  1. LEGGE 5 gennaio 1994, n. 36

Questa è una legge di riorganizzazione dei servizi idrici. Il cardine della riforma poggia sul concetto di equilibrio idrico, inteso come contemperamento fra disponibilità di risorse e fabbisogno dei diversi usi; per la prima volta vengono unificati all'interno di uno stesso testo normativo e di un progetto unitario di governo del territorio principi di salvaguardia ambientale e di efficienza economica.

La legge, nata per risolvere l'eccessiva frammentazione del servizio idrico italiano e per razionalizzare il confuso quadro normativo, contiene alcuni principi generali sulla tutela e sull'uso delle risorse:

  • in base all'art. 1, tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà; qualsiasi utilizzo delle acque deve essere effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un patrimonio ambientale integro, e, gli usi delle acque devono comunque essere indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse, per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici;
  • l'art. 2 stabilisce che l'uso dell'acqua per consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi; la priorità dell'uso della risorsa deve, comunque, essere valutata in sede di programmazione, nell'ambito dei piani di bacino, e, verificate in sede di attuazione dei piani stessi; un uso più razionale della risorsa viene richiamato anche nell'art. 3, che fissa il principio dell'equilibrio del bilancio idrico, in base al quale l'autorità di bacino assicura la disponibilità delle risorse reperibili o attivabili per i diversi usi nell'area di riferimento;
  • l'art. 5 indica, invece, le modalità con cui conseguire il risparmio idrico: mediante la progressiva estensione delle misure di risanamento delle reti esistenti che evidenzino consistenti perdite, l'installazione di reti duali nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, l'installazione di contatori nelle singole unità abitative e di contatori differenziati per le attività produttive e del terziario esercitate nel contesto urbano, e, la diffusione di metodi e apparecchiature per il risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario e agricolo.

Una prima sostanziale innovazione introdotta dalla legge Galli è rappresentata dalla separazione tra titolarità e gestione del servizio idrico; si pone fine, in questo modo, alla coincidenza tra i "titolari" ed i "gestori" del servizio prevista dal sistema italiano, fonte di inevitabile confusione tra le funzioni di indirizzo/regolamentazione/controllo e la funzione di gestione.

In base alla 36/94 la titolarità del servizio rimane a Province e Comuni, che devono affidarne la gestione operativa mediante gara, con la facoltà di scegliere tra aziende speciali, società private concessionarie o società miste pubblico-private. Non è più contemplata, invece, la possibilità di attuare la cosiddetta gestione "in economia".

I rapporti tra gli enti titolari e i gestori del servizio devono essere regolati da una convenzione prevista a livello regionale che deve, fra l'altro, prevedere il regime giuridico della gestione, la durata dell'affidamento (comunque non superiore ai trenta anni), le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio, nonché il livello di servizio da assicurare all'utenza.

La separazione tra titolarità e gestione del servizio risolve certamente alcuni problemi fondamentali, garantendo in primo luogo una maggiore finalizzazione economica dell'attività, ma, contemporaneamente ne introduce degli altri, in relazione soprattutto al possibile comportamento monopolistico del gestore a danno degli interessi della collettività. Compito fondamentale della Pubblica Amministrazione diviene, di conseguenza, salvaguardare i diritti dei consumatori, sia in merito alla qualità del servizio, sia in merito al suo prezzo.

Un'altra innovazione introdotta dalla legge è rappresentata dal tentativo di superare la frammentazione gestionale che caratterizza il settore dei servizi idrici in Italia e di promuovere una crescita imprenditoriale del sistema acqua; a questo scopo si richiede l'identificazione di ambiti territoriali ottimali (ATO), all'interno dei quali pervenire ad una gestione unitaria ed integrata del ciclo idrico, inteso come l'insieme dei servizi di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue.

Un terzo pilastro individuato dalla legge Galli per la riorganizzazione del settore idrico è rappresentato dalla nuova disciplina tariffaria: ispirandosi al principio della copertura dei costi

la riforma prevede che la tariffa sia calcolata sulla base della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, dei costi di gestione, delle opere e gli adeguamenti necessari, della remunerazione del capitale investito, …

La determinazione dell'eventuale tariffa del servizio rientra nei compiti dei singoli enti titolari del servizio, sulla base delle specificità territoriali e gestionali, ma la legge prevede l'elaborazione di un metodo per la formazione di una tariffa di riferimento, sulla base dei componenti di costo, da parte del Ministero dei Lavori Pubblici, d'intesa con il Ministero dell'Ambiente.

Il processo di attuazione della L. 36/94 è stato piuttosto travagliato e lungo, soprattutto per quanto riguarda le competenze regionali; la Lombardia ha attuato la 36/94 con la L.R. 8 luglio 1998, n.24.

 

E' importante ricordare quali sono le competenze a livello regionale e locale

Regioni

Enti Locali

art. 6.2 – Adottano programmi e incentivi per il risparmio idrico con agevolazioni per il riuso

art. 8.2 – Delimitano gli ATO

art. 8.4 – Aggiornano il PRGA

art. 8.5 – Stabiliscono norme integrative sul controllo degli scarichi

art. 9.3 – Disciplinano forme e modi di cooperazione di Comuni e Province

art. 11.1 – Adottano convenzioni e disciplinari tipo per regolare i rapporti con gli enti locali e soggetti gestori

Agli Enti Locali sono attribuite tutte le competenze successive alla delimitazione degli A.T. da parte delle regioni e gli altri adempimenti

art. 9, comma 1 e 2 – Organizzano e affidano la gestione del servizio idrico secondo le modalità e le forme previste dalla legge142/90 e l'art. 12 della Legge 498/92

art. 9.3 – Organizzano forme di cooperazione previste dalla Regione

art. 9.4 – Adottano provvedimenti relativi alla salvaguardia delle gestioni esistenti

art. 11, commi 1,2,3 – Adottano gli atti preparatori alla gestione del servizio:

  • ricognizione delle opere
  • livelli di servizio
  • programma degli interventi
  • piano economico-finanziario
  •  risorse e tariffa
  • convenzione con il gestore

scelta del gestore ex art. 20 (D.M.in via di approvazione)

 

3. Decreto Legislativo 11 maggio 1999,n. 152

Il 13 giugno è entrato in vigore la nuova legge-quadro ( Dlgs 11/05/99) che modifica il panorama esistente in materia di inquinamento idrico.

In via generale tale decreto recepisce le direttive comunitarie 91/271/CEE sulle acque reflue urbane e 91/626/CEE sull'inquinamento da nitrati in agricoltura,ma, in realtà, riordina la materia dell'inquinamento idrico alla luce di numerosi altri provvedimenti comunitari.

Il decreto si ispira ai nuovi principi comunitari in tema di acque. Fondamentale il concetto della tutela integrata dell'ambiente idrico, da attuarsi attraverso la definizione dei valori limite di emissione e dei limiti di qualità ambientale e per specifica destinazione.

Un ruolo fondamentale spetta alle Regioni che dovranno, tra l'altro, procedere al rilevamento dei dati necessari per individuare le caratteristiche dei bacini idrografici.

La legge 10/05/76, n. 319, non definiva espressamente il concetto di scarico. Una sua definizione, tuttavia, era rinvenibile nell'elaborazione dottrinale che ne ha stabilito i seguenti requisiti:

  1. provenienza da insediamento produttivo o civile ( la cui definizione è data dalla legge 544/1976, ovvero dalla fognatura);
  2. carattere continuo, periodico ma non occasionale;
  3. oggetto costituito da sostanze liquide e convogliabile tramite condotta.

Il decreto legislativo n. 152 colma tale lacuna abbandonando definitivamente la definizione di scarico da insediamento produttivo e da insediamento civile e stabilisce che cosa si intende per scarico:

"Qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione".

Il nuovo decreto, oltre al superamento della distinzione tra scarichi provenienti da insediamenti produttivi e civili, differenzia lo scarico in relazione al luogo di immissione: acque superficiali, suolo, sottosuolo, reti fognarie.

A seconda del corpo ricettore in cui recapitano, gli scarichi dovranno rispettare limiti di emissione diversi.

I limiti sono fissati:

  • a livello nazionale, sulla falsa riga di quelli già stabiliti dalla legge 319/76 e dai Dlgs 132 e 133 del 1992;
  • a livello regionale nell'ambito dei piani di tutela e sulla base degli obiettivi di qualità.

 

In particolare, il decreto stabilisce che tutti gli scarichi devono essere autorizzati e devono rispettare i valori limite previsti dall' Allegato 5; le Regioni potranno definire valori limite diversi da quelli stabiliti nell'Allegato 5, ma, per quanto riguarda le sostanze indicate nelle tabelle 1 (Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane), 2 (Limiti di emissione di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili) e 5 (Sostanze per le quali non possono essere adottati da parte delle Regioni, o da parte del gestore della fognatura, limiti meno restrittivi di quelli indicati in tab. 3 rispettivamente per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in fognatura) e 3A (Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi) dello stesso allegato, non potranno stabilire limiti più remissivi di quelli indicati.

Che cosa succede alle vecchie tabelle A e C della Legge Merli, nonché ai limiti stabiliti dai decreti legislativi del 1992 in materia di tutela delle acque sotterranee e scarichi di sostanze pericolose? Esse sono sostituite dalle tabelle dell' Allegato 5 al nuovo decreto,e, tradotto in termini di adempimenti, questo significa che i nuovi scarichi ( attivati dopo il 13 giugno) dovranno essere conformi, mentre quelli esistenti ed autorizzati dovranno conformarsi (entro i termini stabiliti), ai valori limite di emissione indicati nelle tabelle dell'Allegato.